Descrizione di carattere storico artistico relativa all’oggetto
Perfetto esempio di sintesi tra funzionalità e intento celebrativo, il ponte romano sul fiume Marecchia (l’Ariminus da cui aveva preso nome la città) interpreta il gusto monumentale dell’età di Augusto, l’imperatore che nel 14 avviò i lavori di costruzione, proseguiti e portati a termine nel 21 da Tiberio.
Il ponte nei pressi dell’approdo di foce,univa il decumano massimo (oggi corso di Augusto) al suburbio di Ariminum (Rimini), garantendo il passaggio già assicurato da una struttura probabilmente in materiale deperibile. Posto all’inizio delle vie consolari dirette a Nord, l’Aemilia e la Popillia, il ponte costituiva, sul versante Adriatico, il perno di collegamento fra Italia peninsulare e settentrionale.
Il monumento conserva tuttora forme e funzione originarie, collegando il borgo, intitolato dal Medioevo a San Giuliano, e il centro urbano.
La possente architettura si impone nel candore della pietra d’Istria che riveste l’anima di calcestruzzo e nel rincorrersi delle cinque arcate. Diverse nelle dimensioni (min m 8,30; max m 10,70) e nel profilo (ora a tutto sesto, ora policentrico, ora rialzato, ora quasi acuto), le arcate conferiscono alla struttura un ritmo mosso e nell’insieme armonico. Un ritmo sottolineato dalle grandi nicchie a pseudoedicola disegnate sui piloni, profonde appena una ventina di centimetri, così come dalla robusta cornice a dentelli, aggettante, che corre sotto il parapetto in lastre di pietra. Ma anche dai rilievi scolpiti nelle chiavi delle arcate: su quella centrale, a valle una corona di quercia e a monte un grande scudo; su quelle laterali si conservano, a valle, i vasi per il rito (l’urceo e la patera), a monte, il bastone ricurvo dei sacerdoti e dei magistrati (lituo). Sopra l’arcata centrale le lastre del parapetto si fanno più alte e spesse per ospitare l’iscrizione ripetuta su entrambi i lati della carreggiata: il testo restituisce i nomi dei due imperatori e, attraverso le loro titolature, le datazioni di inizio e fine lavori. Il piano stradale, lastricato con i tradizionali basoli di trachite, aveva una larghezza di m. 4,80 ed era fiancheggiato da marciapiedi sopraelevati di ca. 30 cm e ampi ca.60 cm. In origine più lungo degli attuali 74 m per la presenza delle due spalle di cui oggi è superstite solo quella verso la città, il ponte ha piloni con speroni frangiflutti disposti in obliquo rispetto all’asse stradale, al fine di assecondare la corrente per attenuarne l’urto.
La deviazione del Marecchia prima e quindi i lavori per l’attualebacino, hanno messo in luce i resti di banchine in pietra a protezione dei fianchi delle testate di sponda; i sondaggi hanno poi rivelato che la struttura poggia su un sistema di pali di legno, perfettamente isolati.
Paradigma di architettura e ingegneria idraulica, il ponte è anche un manifesto della propaganda politica della prima età imperiale attraverso l’iscrizione e il sobrio apparato decorativo. Il richiamo all’autorità civile nella corona d’alloro e nello scudo, ma soprattutto religiosa nel lituo, nell’urceo e nella patera per i sacrifici, connota il princeps come uomo di pace, interprete della pietas, e nel contempo sigla la continuità del potere da Augusto a Tiberio.
Il ponte è sopravvissuto a tante vicessitudini: dai terremoti alle piene del fiume, dall’usura agli episodi bellici. Tra questi ultimini ricordiamo la guerra fra Goti e Bizantini che, nel 552, vide il comandante goto Usdrila ordinare l’abbattimento dell’ultima arcata verso il borgo per impedire l’ingresso dell’esercito nemico.
Il ponte gode di fama internazionale per essere stato assunto nel Rinascimento a modello nell’intera Europa, grazie soprattutto al Palladio che lo definì “il più bello et il più degno di considerazione, sì per la fortezza come per il compartimento”.
Informazioni sullo stato della conservazione
Il Ponte di Tiberio è ancora oggi uno dei ponti monumentali, nato anche come tale, di epoca romana, meglio conservati al mondo e tra i più importanti, ancora oggi utilizzato come viabilità cittadina nonostante anche I tedeschi , nell’ultimo conflitto mondiale, nella ritirata ne avevano minato l’intera struttura con il fine di farla saltare, tentativo fallito grazie alla sensibilità di un loro ufficiale e fortunatamente oggi è ancora uno dei monumenti più amati dai cittadini riminesi e dai turisti.
Nel 1973, con il prelievo della ghiaia per il progetto di sistemazione del canale portuale dell'architetto Vittoriano Viganò, apparvero, dopo secoli, le pile del ponte. Per la prima volta il ponte appariva nella sua struttura e forma centrali intere. Purtroppo le pile sono state di nuovo occultate, a seguito della collocazione di piastre intirantate in cemento. Qualche anno addietro, nel 1989-91, all’epoca dei lavori per la “sistemazione” dell’invaso, a seguito della rimozione dell’acqua attorno al ponte e di alcune opere di scavo, fu possibile vedere nel dettaglio la base delle pile e furono ritrovate numerose pietre e materiali crollati. Furono recuperate numerose pietre che vennero lasciate lungo l’argine dell’invaso fino al 2005 anno in cui, su commissione del Comune di Rimini, furono catalogate e spostate in un’area recintata posta nel parco poco distante dal ponte, in attesa di un intervento di riqualificazione e valorizzazione. Tra grandi e piccoli si contano 155 pezzi e questi sono interessanti perché raccontano, almeno in parte, come venne costruito il ponte. La maggioranza delle pietre sono state lavorate in epoca romana ma alcune si riferiscono a periodi successivi. Le pietre lavorate in epoca romana sono di varia natura e non provengono da cave locali e quindi vennero portate via mare, in genere dal nord Italia, tramite imbarcazioni che percorrevano la costa. Ogni pietra veniva impiegata e aveva una funzione sulla base delle proprie caratteristiche. Tutto il rivestimento esterno del ponte, a partire dalla linea d’acqua fino ai parapetti, ad esclusione dei piani di calpestio, fu realizzato con pietre calcaree bianche provenienti dalle cave del Carso ed in particolare dalla zona di Aurisina dove ancora esistono e in parte sono attive le cosiddette Cave Romane. Le pietre venivano poste in opera (opus quadratum) tramite vari macchinari e alzate con strumenti tra cui olivelle e ferrei forfices (grandi tenaglie) di cui rimangono i segni sui blocchi nei lati non in vista. La fuga esterna tra un concio e l’altro era ridotta al minimo e le pietre erano in diversi casi legate le une alle altre da delle grappe in ferro inserite in degli alloggiamenti in cui veniva anche posto un rivestimento in piombo protettivo. Esternamente le pietre venivano lavorate con delle martelline, bocciarde o degli scalpelli dentati (gradine) fino a raggiungere un buon grado di finezza mentre i lati non i vista spesso venivano anche lasciati semplicemente lavorati con scalpelli (subbie), picconcini e martelli più grossolani. La pietra d’Aurisina di epoca romana utilizzata per il ponte è una pietra con buone caratteristiche di compattezza e durevolezza. In epoche successive, a seguito dei tanti restauri, numerose pietre del rivestimento furono sostituite anche con qualità di pietre d’Istria diverse e queste sono evidenti poiché in genere sono molto più bianche, compatte e quasi del tutto prive di fossili macroscopici. La base delle pile, sotto il livello dell’acqua, invece è realizzata (sempre in opus quadratum) con blocchi bugnati di un materiale molto compatto di origine magmatica dato che doveva resistere alle continue sollecitazioni ed urti del materiale apportato dal fiume.
Le pietre recuperate e durante i lavori degli anni 90 sono state catalogate e attualmente sono collocate nell'adiacente area recintata all'interno deldel Parco XXV Aprile.
Informazioni sulla fruizione e orari di apertura
Il Ponte è accessibile e transitabile tutt'oggi, le pietre sono visibili dall'esterno nell'area recintata appositamente allestita nel parco Pubblico XXV Aprile (Parco Marecchia).